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Bruno Richard è un artista che compone suadenti nature morte che, a un occhio inesperto, potrebbero anche apparire come il risultato di un'elaborazione fotografica. Al contrario, sotto questa superba rappresentazione di forme del mondo vegetale, strutturata secondo gli stilemi antichi e corposamente realistica, c'è la traccia di un disegno sapiente, di uno studio prospettico minuziosamente precisato, di un'esecuzione in punta di pennello, di un approfondimento volumetrico e tonale persino virtuosistico. In ricercati giochi di velature sono richiamati in vita un cesto di limoni con foglie, una verza, due paste al chantilly, un'anguria, dei pomodori o un sacchetto di carta stazzonata, un intero universo di frutti della terra a cui manca solo il profumo composito di un mercatino di primizie. Il che dimostra come Bruno Richard non sia soltanto un poeta della certezza del vero, ma anche un artigiano di sapienza antica che non transige né con se stesso, né con chi guarda. Perché il suo modo di operare è quasi ossessivo nel porgere un personalissimo giudizio poetico sull'esteriorità della bellezza naturale, che sorge dalla tela grazie a una luce significante, caravaggesca, che carezza le superfici e che si diffonde di riflesso dalla polpa spaccata di una zucca, o dalle pieghe di una foglia accartocciata. Pittore assolutamente raffinato egli scopre i contrasti che fanno parte della sostanza stessa delle sue nature morte, e di cui enuncia la realtà squisitamente labile e terrena, un attimo prima dell'inevitabile appassimento. Ci vuole indubbiamente un certo coraggio a stabilire un simile equilibrio compositivo, così in contrasto con le tendenze del momento presente, in cui è la visione allusivamente imprecisa o decisamente informale a prevalere nelle cifre stilistiche dell'attuale figurazione. Le volumetrie di Richard hanno un impianto oltremodo saldo e compatto, e si presentano all'occhio con una certa maestosità. Si direbbe che in questo artista la natura pretenda una considerazione di parità ritrattistica con la figura umana, in quanto, nel suo modo di fruttificare, essa è dotata di un'anima vitale, dì una pulsazione interiore che può definirsi come una sorta di caratteristica temperamentale. Il popolo orgoglioso degli agrumi, la sensuale rotondità dell'anguria, la sorridente obesità della zucca, l'esibizionismo scultoreo della verza, sono ripresi ed inquadrati entro i limiti prefissati di una messa in posa, o di una disposizione scenografica. In questa pittura così teatrale la trama segnica risulta impercettibile al primo impatto visivo, ed esige un buon addestramento alla decifrazione dei procedimenti tecnici per essere colta nelle sue funzioni descrittive e strutturali. I rapporti tonali sono ottenuti col ricorso a tinte chiare e basilari, stese con un lento vigore, che consente di distribuire sulle superfici, e dove di volta in volta è necessario, la forza e la tenuità dei tratto. La calibratura della luce, che sembra provenire da una sorgente naturale, non gioca tanto sulla vibrazione, quanto sulla capacità di distendersi a rivelare le sinuosità evocate dai colori vivi e dalle ombre trasparenti. I fondi sono per lo più scuri o atonali, e conferiscono contrasto e spessore agli effetti volumetrici. Quanto ai colori, che pure sono gli interpreti fondamentali delle forme, se non addirittura i suggeritori attenti dei particolari, ho il sospetto che nascondano le inquietudini tipiche di certi simbolismi secenteschi, dove lo sfrangiarsi di una buccia, o un lievissimo difetto nella carnosità matura di una polpa hanno il senso di un mementi mori.